Note
(1) La norma ha il preciso scopo di evitare che il parlamentare
possa sentirsi in qualche modo condizionato nell'esprimere il proprio pensiero
per il timore di dover rendere conto (in sede civile, penale o disciplinare)
dell'attività svolta (insindacabilità):
tale prerogativa non ha limiti di durata dal momento che, anche quando cessa il
mandato, il parlamentare non può comunque essere perseguito per le opinioni
espresse all'epoca in cui ricopriva quella carica.
(2) L'insindacabilità non si estende alle affermazioni rese dal
Parlamentare in qualità di privato cittadino e non collegabili in alcun modo al
suo ufficio: se così non fosse, la norma conferirebbe un ingiusto privilegio,
ponendo il parlamentare in una condizione di superiorità rispetto agli altri cittadini, in
quanto lo stesso godrebbe, ingiustificatamente, di un diritto di critica e di
una libertà di manifestazione del pensiero più ampia di quelli riconosciuti a
tutti gli altri (v. 21).
Una delle questioni più dibattute in passato riguardava il luogo dell'insindacabilità: in pratica, ci si chiedeva se essa valesse soltanto per i voti e le opinioni espresse nell'aula parlamentare oppure dovesse estendersi anche all'attività politica svolta fuori dalle consuete sedi istituzionali (comizi, congressi di partito, dibattiti televisivi etc.). La giurisprudenza costituzionale ha ribadito che non solo deve esserci un nesso funzionale fra voti e opinioni espressi e funzione parlamentare, ma anche una sostanziale corrispondenza fra il contenuto delle affermazioni dei parlamentari e quello di previi atti parlamentari da essi posti in essere (ad es., ispezioni, interrogazioni, proposte di legge).
La legge 140/2003 ha applicato la prerogativa parlamentare «a ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento». La Corte costituzionale, tuttavia, ha ribadito il suo orientamento anche con riferimento alle nuove disposizioni, sottolineando il nesso funzionale che deve sempre sussistere fra dichiarazioni e pregressa attività parlamentare, sia essa riconducibile alle forme e ai modi tipici della funzione parlamentare, oppure configurabile come generica e «innominata» (si pensi a lettere fra parlamentari, ad interventi in sedi non pubbliche, agli atti di sindacato ispettivo non ammessi alla pubblicazione).
La legge ha inoltre precisato che se il giudice ritiene di non poter accogliere l'eccezione concernente l'applicabilità dell'articolo in esame, deve sospendere il processo e trasmettere gli atti alla Camera di appartenenza del parlamentare, che ha 90 giorni per pronunciarsi sulla insindacabilità. In pratica viene introdotta una sorta di pregiudizialità che blocca l'attività dei giudici a prescindere da una precedente pronuncia di insindacabilità. La questione dell'applicabilità della norma in esame può essere sollevata anche dallo stesso parlamentare, e in questo caso la camera di appartenenza può chiedere che il giudice sospenda il processo.
Una delle questioni più dibattute in passato riguardava il luogo dell'insindacabilità: in pratica, ci si chiedeva se essa valesse soltanto per i voti e le opinioni espresse nell'aula parlamentare oppure dovesse estendersi anche all'attività politica svolta fuori dalle consuete sedi istituzionali (comizi, congressi di partito, dibattiti televisivi etc.). La giurisprudenza costituzionale ha ribadito che non solo deve esserci un nesso funzionale fra voti e opinioni espressi e funzione parlamentare, ma anche una sostanziale corrispondenza fra il contenuto delle affermazioni dei parlamentari e quello di previi atti parlamentari da essi posti in essere (ad es., ispezioni, interrogazioni, proposte di legge).
La legge 140/2003 ha applicato la prerogativa parlamentare «a ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento». La Corte costituzionale, tuttavia, ha ribadito il suo orientamento anche con riferimento alle nuove disposizioni, sottolineando il nesso funzionale che deve sempre sussistere fra dichiarazioni e pregressa attività parlamentare, sia essa riconducibile alle forme e ai modi tipici della funzione parlamentare, oppure configurabile come generica e «innominata» (si pensi a lettere fra parlamentari, ad interventi in sedi non pubbliche, agli atti di sindacato ispettivo non ammessi alla pubblicazione).
La legge ha inoltre precisato che se il giudice ritiene di non poter accogliere l'eccezione concernente l'applicabilità dell'articolo in esame, deve sospendere il processo e trasmettere gli atti alla Camera di appartenenza del parlamentare, che ha 90 giorni per pronunciarsi sulla insindacabilità. In pratica viene introdotta una sorta di pregiudizialità che blocca l'attività dei giudici a prescindere da una precedente pronuncia di insindacabilità. La questione dell'applicabilità della norma in esame può essere sollevata anche dallo stesso parlamentare, e in questo caso la camera di appartenenza può chiedere che il giudice sospenda il processo.
(3) La richiesta di autorizzazione deve essere inoltrata dal
giudice al Presidente della Camera di appartenenza del parlamentare, che la
trasmette ad un apposito organo interno, la Giunta per le autorizzazioni (al Senato denominata Giunta
per le elezioni e le immunità). Dopo l'esame della Giunta, la
richiesta viene sottoposta, insieme ad un parere favorevole o contrario, all'Assemblea, cui spetta la decisione di
concedere o negare l'autorizzazione.
(4) Scopo della disposizione è
di consentire al parlamentare di svolgere il suo mandato liberamente, senza
temere che l'autorità amministrativa o giudiziaria possa far uso di
provvedimenti restrittivi della sua libertà per condizionarne l'operato (si
pensi agli effetti che potrebbe avere l'arresto, anche provvisorio, di alcuni
membri del Parlamento in coincidenza di una votazione per la quale si prevede
uno scarto di voti molto esiguo).
La norma tutela, quindi, la funzione di cui il Parlamentare è investito, e non la sua persona; pertanto, quando si dimostri che non vi è alcunintento persecutorio nel provvedimento restrittivo della libertà, non sussiste motivo per negare l'autorizzazione.
Prima della riforma del '93, l 'immunità
dei parlamentari era molto più estesa, in quanto era necessaria
l'autorizzazione anche per avviare indagini a carico di un deputato o un
senatore o per arrestarlo, pur in presenza d'una condanna
irrevocabile. Sull'onda delle inchieste giudiziarie di «Mani pulite» e dei referendum contro la partitocrazia,
il Parlamento si è deciso ad approvare la legge costituzionale [v. 138] n. 3 del 1993, che ha ridotto l'ambito di
applicabilità dell'immunità penale al fine di evitare il ripetersi di
abusi di tale prerogativa.
La norma tutela, quindi, la funzione di cui il Parlamentare è investito, e non la sua persona; pertanto, quando si dimostri che non vi è alcunintento persecutorio nel provvedimento restrittivo della libertà, non sussiste motivo per negare l'autorizzazione.
Prima della riforma del '
(5) Art. così sostituito dalla L. cost. 29-10-1993, n. 3.
Nessun commento:
Posta un commento