mercoledì 21 agosto 2013

DISPOSITIVO DELL'ARTICOLO 68 COSTITUZIONE ITALIANA - I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati (1) nell'esercizio delle loro funzioni (2) [122 4]. Senza autorizzazione della Camera (3) alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza (4). Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento a intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza (5).

Note
(1) La norma ha il preciso scopo di evitare che il parlamentare possa sentirsi in qualche modo condizionato nell'esprimere il proprio pensiero per il timore di dover rendere conto (in sede civile, penale o disciplinare) dell'attività svolta (insindacabilità): tale prerogativa non ha limiti di durata dal momento che, anche quando cessa il mandato, il parlamentare non può comunque essere perseguito per le opinioni espresse all'epoca in cui ricopriva quella carica.
(2) L'insindacabilità non si estende alle affermazioni rese dal Parlamentare in qualità di privato cittadino e non collegabili in alcun modo al suo ufficio: se così non fosse, la norma conferirebbe un ingiusto privilegio, ponendo il parlamentare in una condizione di superiorità rispetto agli altri cittadini, in quanto lo stesso godrebbe, ingiustificatamente, di un diritto di critica e di una libertà di manifestazione del pensiero più ampia di quelli riconosciuti a tutti gli altri (v. 21).
Una delle questioni più dibattute in passato riguardava il luogo dell'insindacabilità: in pratica, ci si chiedeva se essa valesse soltanto per i voti e le opinioni espresse nell'aula parlamentare oppure dovesse estendersi anche all'attività politica svolta fuori dalle consuete sedi istituzionali (comizi, congressi di partito, dibattiti televisivi etc.). La giurisprudenza costituzionale ha ribadito che non solo deve esserci un nesso funzionale fra voti e opinioni espressi e funzione parlamentare, ma anche una sostanziale corrispondenza fra il contenuto delle affermazioni dei parlamentari e quello di previi atti parlamentari da essi posti in essere (ad es., ispezioni, interrogazioni, proposte di legge).
La legge 140/2003 ha applicato la prerogativa parlamentare «a ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento». La Corte costituzionale, tuttavia, ha ribadito il suo orientamento anche con riferimento alle nuove disposizioni, sottolineando il nesso funzionale che deve sempre sussistere fra dichiarazioni e pregressa attività parlamentare, sia essa riconducibile alle forme e ai modi tipici della funzione parlamentare, oppure configurabile come generica e «innominata» (si pensi a lettere fra parlamentari, ad interventi in sedi non pubbliche, agli atti di sindacato ispettivo non ammessi alla pubblicazione).
La legge ha inoltre precisato che se il giudice ritiene di non poter accogliere l'eccezione concernente l'applicabilità dell'articolo in esame, deve sospendere il processo e trasmettere gli atti alla Camera di appartenenza del parlamentare, che ha 90 giorni per pronunciarsi sulla insindacabilità. In pratica viene introdotta una sorta di pregiudizialità che blocca l'attività dei giudici a prescindere da una precedente pronuncia di insindacabilità. La questione dell'applicabilità della norma in esame può essere sollevata anche dallo stesso parlamentare, e in questo caso la camera di appartenenza può chiedere che il giudice sospenda il processo.
(3) La richiesta di autorizzazione deve essere inoltrata dal giudice al Presidente della Camera di appartenenza del parlamentare, che la trasmette ad un apposito organo interno, la Giunta per le autorizzazioni (al Senato denominata Giunta per le elezioni e le immunità). Dopo l'esame della Giunta, la richiesta viene sottoposta, insieme ad un parere favorevole o contrario, all'Assemblea, cui spetta la decisione di concedere o negare l'autorizzazione.
(4) Scopo della disposizione è di consentire al parlamentare di svolgere il suo mandato liberamente, senza temere che l'autorità amministrativa o giudiziaria possa far uso di provvedimenti restrittivi della sua libertà per condizionarne l'operato (si pensi agli effetti che potrebbe avere l'arresto, anche provvisorio, di alcuni membri del Parlamento in coincidenza di una votazione per la quale si prevede uno scarto di voti molto esiguo).
La norma tutela, quindi, la funzione di cui il Parlamentare è investito, e non la sua persona; pertanto, quando si dimostri che non vi è alcunintento persecutorio nel provvedimento restrittivo della libertà, non sussiste motivo per negare l'autorizzazione.
Prima della riforma del '93, l'immunità dei parlamentari era molto più estesa, in quanto era necessaria l'autorizzazione anche per avviare indagini a carico di un deputato o un senatore o per arrestarlo, pur in presenza d'una condanna irrevocabile. Sull'onda delle inchieste giudiziarie di «Mani pulite» e dei referendum contro la partitocrazia, il Parlamento si è deciso ad approvare la legge costituzionale [v. 138] n. 3 del 1993, che ha ridotto l'ambito di applicabilità dell'immunità penale al fine di evitare il ripetersi di abusi di tale prerogativa.
(5) Art. così sostituito dalla L. cost. 29-10-1993, n. 3.



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