mercoledì 21 agosto 2013

"I droni contro il terrorismo li aveva lanciati l’amministrazione Bush; sulle tracce di Bin Laden era scatenata la Cia uscita ristrutturata nei due mandati repubblicani; la caccia a Bin Laden era un tracciato già scritto, e il particolare di Obama che gioca a carte e non assiste al blitz di Abbottabad sembra perfino un falso per quanto è veridico; Guantanamo è lì, con il Patriot Act e le pratiche dell’epoca di Don Rumsfeld e Dick Cheney, a testimoniare, con l’aggravante dell’estensione a raggiera dei programmi di spionaggio su scala universale, contro i quali Nat Hentoff e Peggy Noonan stanno conducendo una battaglia in difesa della privacy come eminente valore liberale, quanto sia complicato difendere la sicurezza in occidente senza pagare un prezzo di libertà; Ben Bernanke, risolutivo con le sue politiche alla Federal Reserve per la ripresa americana e mondiale, fu nominato da Bush ed entrò in servizio due anni prima della venuta del messia nero. Insomma, è accaduto quel che era prevedibile: la macchina federale del potere americano ha una sua autonomia e cogenza che nessun presidente può ribaltare a piacimento, e gli atti solidi, decisivi, dell’era Bush si sono proiettati come una benedizione, tragica ma solare benedizione, sugli anni oziosi di Obama, che ha una comunicativa sublime, elegante e demotica insieme, ma non un pensiero. Il texano troppo bianco, con il suo swagger, perde contro il nero harvardiano della east coast."

http://www.ilfoglio.it/soloqui/19457

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