giovedì 22 agosto 2013
La riflessione classica sull’epilogo della vita non si è mai disgiunta da quella sulle strategie di “trascendenza della morte” (Bauman). Varie le forme di sopravvivenza nell’oltretomba: l’Ade umbratile, l’Isola dei Beati, il trasferimento in altre vite secondo la dottrina della metempsicosi; e soprattutto l’immortalità dell’anima, la quale tuttavia – è Seneca a dirlo – è minata da una duplice limitazione: la negazione della sopravvivenza individuale (Consolazione a Marcia 26, 7 “noi anime felici che abbiamo avuto in sorte l’eternità [...] nella distruzione del tutto [...] ci trasformeremo negli elementi primordiali”) e un certo agnosticismo che sembra oscurare le convinzioni stoiche circa origine e approdo celeste dell’anima (Epistola 121, 12 “che cosa sia l’anima, dove sia, come e da dove, lo ignoriamo”).
Centro studi "La permanenza del classico"
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