giovedì 22 agosto 2013
Seneca tragico – discostandosi dal codice filosofico stoico e avvicinandosi a quello epicureo – nel coro delle Troiane (“la tragedia più tragica di Seneca, perché non [...] solo la tragedia di un individuo, ma di un popolo”, Traina), nel timore che l’infelicità insopportabile di questa vita possa protrarsi anche dopo la morte, approda a un nichilismo apocalittico: “dopo la morte non c’è nulla, e la morte stessa è nulla (ipsaque mors nihil), ultimo traguardo di una corsa veloce. Chi spera, lasci ogni speranza, chi teme, ogni timore. Ci divora il tempo avido e il caos. La morte è indivisibile, attacca il corpo e non risparmia l’anima: l’Ade e il regno di Cerbero sono chiacchiere vane, favole senza senso, fole simili a un incubo” (vv. 397ss.).
Centro studi "La permanenza del classico"
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