giovedì 26 settembre 2013

Silvio Berlusconi: dietro la minaccia delle dimissioni la paura dell'arresto a Napoli e il no di Napolitano alla grazia - È nel corso di un pranzo tesissimo che Berlusconi rispolvera la pistola da mettere sul tavolo: “Non è accettabile che mentre discutiamo la legge di stabilità mi sbattano fuori dal Parlamento. Se è così, presentiamo le dimissioni dei nostri e tiriamo giù tutto”. A Brunetta e Schifani il compito di organizzare la grande sceneggiata alla riunione serale dei gruppi. Il copione prevede che le truppe consegneranno nelle mani dei capigruppo “dimissioni in bianco”. Che i due Renati così possono consegnare al Colle appena scatta sul Cavaliere la tagliola della decadenza. È l’escalation. Che prevede l’Aventino dei parlamentari per paralizzare i lavori delle Camere. E la consegna delle dimissioni il 4 ottobre, giorno della voto in Giunta sulla decadenza, al grido “se non c’è lui non ci siamo nemmeno noi”. È un percorso che porta dritto alla crisi di governo, quello messo a punto in un pranzo in cui nessuno si è detto contrario. Tanto che Brunetta e Verdini, dopo tanto tempo, si sono riabbracciati. La svolta dura matura in una giornata in cui le voci che arrivano dalle procure mandano Berlusconi su di giri. È “arresto” la parola più pronunciata dall’ex premier nel corso del pranzo con i big del suo partito. Le antenne dei suoi avvocati dicono che a Napoli la situazione si è fatta critica. E che, a giorni, potrebbe scattare la misura cautelare. Pure la partecipazione di De Gregorio a Servizio pubblico di Michele Santoro che inizia giovedì viene vissuta come un segnale inquietante. È come se il cerchio si stesse stringendo. Napoli, Bari, ogni procura pare un covo di avvoltoi pronto a scagliarsi sull’ex premier nell’ora più difficile. Ecco, l’ansia da assedio finale: “fuori” dal Palazzo le manette; “dentro” la sinistra pronta ad votare la decadenza. È così che viene ricacciata l’idea delle dimissioni di massa, da presentare un minuto prima che scatti l’ora X su Berlusconi. Con l’obiettivo di paralizzare il Parlamento e “costringere” Giorgio Napolitano a sciogliere le Camere. È solo una delle pistole che il Cavaliere ha scelto di usare nella battaglia finale. A pranzo con i big del Pdl i falchi lo hanno assecondato sull’idea di una grande manifestazione di piazza, che sarebbe l’ultima da uomo libero, da fare prima del 15 ottobre. Si è discusso sul farla sabato, ma il tempo è nemico dell’organizzazione. E non è un caso che il via libera alla linea del conflitto istituzionale sia arrivato il giorno dopo il colloquio tra Angelino Alfano e Giorgio Napolitano. Quello in cui il capo dello Stato ha chiesto un patto di legislatura di un anno. E si è sentito rispondere da Alfano: “Non sono nelle condizioni di dare garanzie”. La sfida di Letta di una verifica di governo per arrivare a una “fase due” viene considerata dal Cavaliere “irricevibile”. Una provocazione. Soprattutto perché non ci sono garanzie in cambio: “Questo governo e questo capo dello Stato – ha quasi urlato coi suoi – ci sono grazie a me. E quale è la risposta? Che mi trattano come un delinquente comune”. Già, il capo dello Stato. E’ Napolitano il vero bersaglio della minaccia eclatante, quella delle dimissioni. Angelino Alfano, nel corso del colloquio di martedì, ha di nuovo provato a parlare della questione “grazia”. E si è sentito rispondere che la posizione del Quirinale non muta rispetto alla famosa nota di agosto. Una posizione che, a quindici giorni dalla decadenza in Senato, produce angoscia a palazzo Grazioli. Ecco la minaccia. L’ennesima. Che ribalta il mantra delle ultime settimane, quella per cui si “rompe sull’economia, non sulla giustizia”. Contrordine. Ai big del suo partito il Cavaliere ha consegnato un’unica regola di ingaggio: “Siamo in guerra e io combatterò fino alla fine”. Insomma, muoia Sansone con tutti i filistei.

http://www.huffingtonpost.it/2013/09/25/silvio-berlusconi-voci-dimissioni-parlamentari_n_3989338.html?ncid=edlinkusaolp00000003

Nessun commento:

Posta un commento