giovedì 19 settembre 2013
EMILIO GENTILE "Il 5 agosto 1922 il Governo Facta lanciava un appello alla pacificazione e alla coesione. Ma la scongiurata conflittualità sociale, lungi dall'essere arginata, aprì la strada al fascismo di Emilio Gentile Era il 5 agosto 1922, quando il Governo presieduto da Luigi Facta rivolse agli italiani un appello per la pacificazione, sperando di porre fine a una violentissima lotta politica, degenerata in guerra civile, che stava minando l'esistenza dello Stato liberale. Il governo si diceva fiducioso che l'appello sarebbe stata accolto dagli italiani per amor di patria, ritenendo impossibile che essi «non sentano lo strazio che ad essa viene dalle condizioni così turbate della vita pubblica e che vi rimangano indifferenti». Novantuno anni dopo, nell'estate del 2013, si è udito nuovamente in Italia l'appello alla pacificazione rivolto agli italiani dal Governo e del capo dello Stato, mentre la democrazia repubblicana è investita da una crisi istituzionale senza precedenti, dopo un ventennio di aspri scontri politici, che hanno visto opposti schieramenti di italiani combattersi come nemici inconciliabili. Nello stesso tempo, è risuonata anche la minaccia di una guerra civile, che avverrà se non sarà garantita la cosiddetta "agibilità politica" al capo di un partito, che ha dominato la politica italiana negli ultimi due decenni, e che ora, in seguito a una condanna definitiva per frode fiscale, secondo le leggi vigenti dovrebbe decadere da senatore ed essere interdetto dai pubblici uffici. L'appello alla pacificazione nell'estate del 2013 conferma la gravità della crisi che travaglia lo Stato italiano, e lo conferma soprattutto la minaccia della guerra civile. Tale minaccia può suonare come un inconsulto espediente retorico, ma è opportuno ricordare che nei nove decenni trascorsi fra l'appello alla pacificazione nell'estate del 1922 e l'analogo appello nell'estate del 2013, la guerra civile in Italia non è stata soltanto un espediente retorico. In alcuni momenti della storia italiana, alla violenza della retorica è seguita la violenza delle armi."
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