venerdì 20 settembre 2013

La Fed punta sulla debolezza del dollaro - Valuta americana scivola ai minimi da sette mesi nei confronti della moneta unica europea - "un gioco a quattro: la Fed, il Campidoglio, Wall Street, e Main Street, l’economia reale. Difficile, forse impossibile, per la sola banca centrale - già un po’ in difficoltà - gestirle tutte. È evidente che la Banca centrale ha voluto lanciare una sfida alla politica: non tutti gli elettori repubblicani amano i tassi bassi. Facendo così ha però riportato Wall Street a febbraio. Ieri la debolezza della valuta Usa ha spinto l’euro fino a 1,3568 dollari, il massimo da sette mesi e mezzo e a 134,94 yen, un livello abbandonato tre anni e mezzo fa. L’indice del dollaro, calcolato su un paniere di monete, è leggermente risalito a 80,238, ma da quota 80,060 di mercoledì, livello abbandonato a febbraio. Un calo dei tassi a lungo termine, una flessione della valuta - e così via - "equivalgono" grosso modo a un taglio dei tassi. La Fed, insomma, ha ritenuto possibile non agire perché i mercati avevano, in sostanza, fatto salire "i tassi"; ma ora quei "tassi"- le condizioni finanziarie - sono di nuovo calati. Forse non è stata una sorpresa, per la Fed: la reazione di Wall Street era prevedibile. Il rischio, però, è che il gioco ora iniziato tra Fed e Campidoglio crei ancora più incertezza e nervosismo sui mercati, già andati in fibrillazione in occasione di precedenti discorsi del presidente Bernanke, mai sufficientemente chiaro né sulle intenzioni della Banca centrale, né soprattutto sulla "funzione di reazione" della Fed: su come reagirà all’evoluzione dell’economia, dalla finanza e ora anche della politica. A proposito della strategia di uscita dall’attuale politica ultraespansiva, gli investitori si sono trovati di fronte a un miscuglio di regole imprecise - gli acquisti non si esauriranno prima che la disoccupazione raggiunga il 7%, i tassi non saliranno finché sarà superiore al 6,5%, con tanti se e tanti ma - e di discrezionalità. La variabile politica rende ora la situazione ancora più confusa. Main Street, l’economia reale, intanto non aiuta. Tutto viene fatto in suo nome, ma non sempre nel modo ottimale. La ripresa procede, e l’anno prossimo l’economia potrebbe crescere anche del 3-3,5%. In una situazione come questa, l’amplissima liquidità e i tassi a zero potrebbero causare - come altrove nel mondo - seri problemi. «Secondo noi - hanno scritto Michael Hartnett e il suo team di analisti di Bank of America Merrill Lynch - quanto più Main Street si avvia alla ripresa, tanto più grande è il rischio di bolle». Anche se il vero pericolo non è tanto un rialzo irrefrenabile delle quotazioni, la bolla in senso stretto, quanto prezzi "scorretti", troppo bassi, sui rischi finanziari. L’occupazione intanto aumenta poco, l’inflazione resta quindi molto bassa, ed è compito della Banca centrale contrastare ogni tendenza a ulteriori raffreddamenti dei prezzi mantenendo tassi bassi e ampia liquidità. Per evitare che l’economia cada - come il Giappone - in un equilibrio stabile e avverso: bassa inflazione (o deflazione) e bassa crescita."

Stefano Rocca: La Fed punta sulla debolezza del dollaro - Valuta ...: IL SOLE 24 ORE (20/09/2013)

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